chiuditi dentro(,)questa notte.

domenica 20 settembre 2009

Part II (la prima delle tre.)

Mi invitò a sedermi.
Che cosa ne avrei fatto?
Camminava con passo felpato, nella sua casa, su quello che era il suo tappeto, il suo pavimento.
Che cosa ne avrei fatto delle sue frasi, dei suoi pensieri, dei suoi sorrisi, dei suoi pianti?
Mi chiese se fumassi ancora, ma non ebbi il tempo di rispondere che bussarono alla porta.
Che cosa ne avrei fatto, ditemi, delle sue gambe svelte?, del fruscio della sua sottoveste, dei suoi capelli lucidi?
Rise a qualcuno e rientrò nella stanza più allegra di prima, semmai lo fosse stata, prima.
Sarà mai stata contenta, almeno una volta contenta, prima, con me? Felice, radiosa, contenta? Magari in quelle passeggiate sul lungomare, giurerei di averle visto un sorriso compiaciuto illuminarle forse solo metà viso, ma era felicità? Magari quei pomeriggi d’inverno, con la tempesta, ricordo denti bianchissimi e pieghe agli occhi, tra le lenzuola, è così?
Magari che lo sia stata, per un attimo almeno?
Padroneggiava la conversazione con così tanta destrezza, che nelle pause avevo quasi paura potesse pretendere qualche iniziativa da parte mia, avevo il cieco terrore che si accorgesse di me.
Per un istante, almeno, sarà stata felice.
Avevo il terrore che tra tutte quelle cose lì intorno, tra tutti gli oggetti inanimati da poter interpellare, esortare a parlare, potesse posare gli occhi su di me. Invece che sul frigorifero, sulla teiera, sulla credenza, sul tavolo, sull’amico vassoio, sul culo del bicchiere.
Inzuccherò il suo tè dopo aver spento la sua sigaretta, arricciò un po’ il naso e si tastò preoccupata i capelli: ho qualcosa in disordine, alzò gli occhi su di me e disse questo. E mi guardò. Mi parlò guardandomi, eppure no, mi guardò parlandomi, niente gerundio, fece entrambe le cose, nello stesso istante con la stessa intensità e avrei preferito essere la teiera.
Continuò a guardarmi e a sorridere, e imbarazzata scosse la testa: quella cascata di capelli bruni scivolò sul suo collo, ma con poco slancio, corti com’erano.
Il frigorifero.
Pardonne, il tavolo.
Si era avvicinata a me così lentamente che solo il tavolo se ne accorse, l’amico vassoio era girato dall’altro lato, intento ad asciugarsi.
“Hai gli occhi lucidi”.
Il culo del bicchiere.
Era così vicina che potevo sentire l’odore del suo burro di cacao mischiato al (pro)fumo della sua bocca.
“Io ti ho amato”.
Sembrava più una terapia che una confessione, una terapia per me, per liberare me dal tormentoso buco d’ossessione che m’ero creato, e non una confessione per riscattare la sua anima dal pietoso stato in cui mi aveva disastrosamente cacciato.
Mi ha amato, ciò significa che non lo faceva più?
Mi accompagnò alla porta senza che lo volessi realmente.
Mi sorrise; mi persi. Ho trovato un modo per esprimere due azioni coordinate senza congiunzioni/pause troppo brevi.
Mi sorrise.
Mi persi: che cosa ne avrei fatto di tutti quei ricordi?

[to be continued...]

1 commento:

  1. Ju-deeee. avevi un blogghe più bello di questo, è. adesso non ce l'hai più? o meglio non lo usi? occhei sto dicendo un sacco di nonsenses; più che altro perché ho l'influenza maiala. ma anche no. cappelli coltelli uccelli Hitchcock o come bjkshfd si scrive. tivibbì, you know.

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